MEDITEROPOLIS – Le Acque Abitate @Galata Museo del Mare, Genova
December 2021 – January 2022

“Mediteropolis – le acque abitate”, prima esposizione in Liguria di Stefano Santi curata da Loredana Trestin, raccoglie circa venti opere dell’artista mantovano dedicate al Mare Mediterraneo rappresentato come spazio antropico, anziché naturale. Chiara è l’influenza della professione di architetto di Santi, che dal 1993 svolge un’intensa attività progettuale nelle zone di Brescia, Mantova, e Verona.



Nei quadri di Santi, il mare pare essere progettato come parte dell’ambiente costruito, oggetto di strategie geopolitiche e operazioni commerciali, piuttosto che forza assoluta come quella ritratta dal romantico Géricault.

“Nei primi anni della mia attività professionale, commenta Stefano Santi, ho usato l’architettura per analizzare, comprendere e trasformare il paesaggio. Questo processo si riflette nelle mie opere pittoriche, dove i metodi dell’architettura mi sono utili non solo a comprendere il paesaggio, ma anche a filtrarlo attraverso le chiavi interpretative dello spazio sociale. Il paesaggio ligure fa da sempre parte del mio immaginario. Da bambino passavo l’estate a Finale Ligure con la famiglia ed ora mi rivolgo a questo stesso mare quando sono in cerca di evasione. Durante la pandemia, nella pianura lombarda dilagavano il terrore e l’angoscia e dipingere il mare è stato l’unico modo per liberarsi dalle restrizioni. È un onore portare le mie marine nel luogo che le ha in primis ispirate”.

La curatrice Loredana Trestin scrive: “La moderna figurazione di Santi rivela l’attenzione al mondo esterno proponendola in contesti formali equilibrati, un modo di rappresentare un mondo che, nato da una realistica meditazione, diventa poesia di una forza espressiva collocando ogni soggetto nella giusta luce che gli fa acquisire una forza emblematica comunicativa”.

Qui il video dell’inaugurazione.
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STEFANO SANTI @SpazioLIFE MANTOVA
September 2020

In una serie di post divulgativi su Facebook dedicati a Stefano Santi, Alberto Bernardelli ha scritto:
“Il tema del mare viene affrontato da Santi con la cautela e la prudenza del contadino padano. Troppo grande, troppo sconfinato per poterlo accogliere dentro a un dipinto. Meglio immaginarlo in piccoli approcci : un porto, una darsena, una piscina. Qualcosa che lo possa rappresentare se pur in piccola e accessibile parte. Nessuna enfasi, dunque, per il mare antico, mitologico,infinito, già troppo rappresentato. E allora Stefano Santi lo accoglie isolato in spicchi, circoscritto dentro a geometrie costruttive. Scandagliato, analizzato, geometrizzato, eppure teneramente evocativo.”

“Il sottotitolo dell’opera potrebbe essere “Memorie del sottosuolo”. Non inteso come rifugio estremo dalla irrazionalità del mondo emerso (Dostoevskij), ma come scrigno di saggezza e bellezza. In alto la corte agricola con le case così a loro agio nel paesaggio, così in armonia con l’esterno, quasi abbiano incorporato una misteriosa regola dal terreno stesso su cui sono adagiate. Dietro una vaghezza di città con edifici in verticale. Sotto, sovraesposto, imperioso, modulato in variazioni di rosso arancio, il sottosuolo. Viene il sospetto che da lì sotto venga l’armonia della forma, la misura. La stessa che produce il tronco, il petalo, la spiga. Quel misto di bellezza, rigore formale, armonia, specularita’ che vorremmo vedere fuori e dentro le case degli uomini.”

“Sorprende e attrae la casa di campagna vista su due lati. Quello assolato,cieco e quello più in ombra con povere finestre e una trave rossa addossata alla parete in terra. Il contrasto ci pone già in una condizione di allarme. Come mai e perché quello spigolo così protagonista in primo piano ? Ogni quadro pensato e realizzato con cura e convinzione contiene spesso un segreto, non facilmente spiegabile neppure dall’artista. È l’accostamento delle forme che lo genera e spetta alla nostra capacità immaginativa la possibilità di avvicinarci al suo ipotetico significato.”

“Certe volte siamo attratti da un quadro e non sappiamo il perché. C’è un flusso misterioso che si crea tra l’opera e il nostro sguardo. Sono questi piani sghembi o questa visione dall’alto ? È la smisurata piscina con la piccola casa invisibile ? Forse è proprio la contraddizione ad attrarci in un quadro. La presenza di elementi dissonanti, contraddittori, smisurati portano nel quadro un invito a staccare dal principio della consequenzialità logica, che occupa la gran parte del tempo reale ed inoltrarci in un cammino per certi versi più simile all’estasi, alla favola, al sogno. Dove le cose si associano indipendentemente da senso, collocazione e pertinenza dando vita a una realtà nuova.”

“Un cielo plumbeo copre e abbraccia la pianura. Linee elettriche sottili, quasi invisibili lo attraversano. Il suolo vive e respira e la casa contadina vi presta ascolto. Quadro tutto di sentimento, a suo modo panteistico. Derresto non potete negare che la grande pianura ha una voce e un cuore. I poeti lo sanno, da Virgilio a Bellintani.”

“Il mare è un muro di blu. Bisogna scavalcarlo per raggiungere la costa. Non c’è ausilio, soccorso, mano caritatevole che aiuta. L’impresa è tutta sulle spalle dell’artista. È il blu con le sue mille velature che deve infondere speranza e premio se la prova sarà superata. L’energia, il passo, la metà è tutta dentro al colore. Il pittore-architetto trasfonde nel dipinto la sua vocazione costruttiva con la tipica apprensione del progettista che sorveglia la forma per non tradire l’idea.”

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RURAL @Galleria Bazzani, CASTEL GOFFREDO (MN)
December 2019 – January 2020

Mostra di Opere Pittoriche di Stefano Santi a cura di Elisabetta Pozzetti.
Dal 14 Dicembre al 18 Gennaio in Galleria Bazzani, Castel Goffredo (MN).
Vernissage di Apertura: Sabato 14 Dicembre, ore 17.00
Cena con l’artista “Mangiarte”: Sabato 18 Gennaio, ore 20.00 (solo su prenotazione)
Orario di apertura: Ven 16-19 Sab Dom 10-12/16-19
Organizzazione: Pro Loco Castel Goffredo, con il patrocinio del Comune di Castel Goffredo

Ruralità – di Ettore Santi
A Febbraio 2020, al Guggenheim di New York, aprirà i battenti una mostra molto attesa. Si chiamerà “Countryside: the future,” “La campagna: il futuro.” E’ curioso che a Manhattan, nel cuore vivo e pulsante di una delle città più dense al mondo, le aree rurali occuperanno per sei mesi il famoso museo a spirale. Ma la storia si fa ancora più bizzarra. Il curatore della mostra è Rem Koolhaas, architetto e teorico olandese notissimo per le sue posizioni radicali a supporto della vita urbana. Nell’introduzione alla mostra, Koolhaas ha sorpreso il mondo con un inaspettato mea culpa: “negli ultimi decenni, le campagne nel mondo sono cambiate ai limiti del riconoscibile. Ciononostante, tutte le nostre energie si sono concentrate sulle aree urbane. Io stesso ho contribuito a questo discorso fuorviante […]. Guardiamo alla letteratura, al cinema, alla ricerca scientifica: la stragrande maggioranza di queste pratiche è rivolta alle città. E’ arrivato il momento di invertire la rotta. La mostra al Guggenheim esaminerà temi cruciali che le campagne e i loro abitanti si trovano ad affrontare oggi: la meccanizzazione e le intelligenze artificiali, la radicalizzazione politica (si pensi all’elezione di Trump e alla Brexit nelle campagne americane e inglesi), il riscaldamento globale, l’impatto del mondo digitale sulla società, la produzione di cibo […]. Saranno presentati casi da Russia, Cina, Europa, Giappone, Africa centrale, America Latina, e oltre.

A noi che viviamo nella Pianura Padana, non serve certo che il Guggenheim di New York racconti le mutazioni delle aree rurali: molti di noi vi sono direttamente coinvolti e le conoscono fino alla noia. Ci servirà invece, credo, tenere ben presente che le aree in cui viviamo si trovano oggi al centro di un dibattito globale delicatissimo, quello sul futuro del Pianeta. Da fattore considerato essenzialmente irrilevante, la ruralità oggi si carica di una forza politica, ecologica, e sociale potentissima, che tutti noi stiamo contribuendo a plasmare.



In questo passaggio cruciale, il rischio è che il mondo ci consideri un “territorio operazionale,” un insieme di luoghi asserviti alla mera produzione di cibo e risorse naturali. Non permettiamolo. Non lasciamo che narrazioni approssimative e utilitaristiche appiattiscano la complessità e la ricchezza della ruralità. Facciamoci sentire, urliamo le nostre storie, quelle più segrete, ignorate, eluse, o silenziate. Mostriamo al mondo che la ruralità è soprattutto arte, bellezza, cultura, pensiero. Come ci mostrano le opere in questa sala.
Buona mostra a tutti.
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LACRIME DI COLORE @Loggia Palazzo Conti Bonzi, ACQUAFREDDA (BS)
September 2019

Vernissage della mostra “Lacrime di Colore” di Stefano Santi dedicata al pittore Giovanni Iris Piva.
Cura e presentazione di Rita Piva. Evento con il patrocinio del Comune di Acquafredda.
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STEFANO SANTI | OPERE @SPAZIOBONAGLIA, ASOLA (MN)
July 2019

Piccola personale di Stefano Santi nello storico negozio di cornici e galleria d’arte ad Asola (MN).
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L’ECCEZIONALITÀ’ DEL QUOTIDIANO @SPAZIOAREF, PIAZZA LOGGIA, BRESCIA
May – June 2019

Nella galleria di SpazioAref, in Piazza Loggia a Brescia, si è tenuta la mostra personale di Stefano Santi dal titolo l’Eccezionalità del Quotidiano, a cura di Elisabetta Pozzetti. La mostra ha raccolto una varietà di opere ad olio, acrilico, gesso e carta. Attraverso rappresentazioni di paesaggi, oggetti e spazi del quotidiano, le opere di Santi hanno toccato temi fondamentali della cultura del Presente, come la differenza fra materia viva e materia inerte, soggetto e oggetto, natura e cultura.
Per la prima volta, inoltre, la mostra ha raccolto anche schizzi preparatori e studi, con l’obiettivo di analizzare il processo di produzione artistica di Santi, basato su un lungo percorso di osservazione, analisi e restituzione pittorica.
La mostra è stata presentata da Marco Camisani, Elisabetta Pozzetti e Stefano Santi, e ha visto la partecipazione di moltissimi visitatori. Per l’occasione è stato presentato il nuovo catalogo delle opere di Stefano Santi, diviso in tre sezioni: i paesaggi umani, gli oggetti del quotidiano, e la coppia dedicata agli interni d’ospedale, Stanza 40. Il catalogo raccoglie testi di Cristina Abeni, Elisabetta Pozzetti, Ettore Santi e Stefano Santi, con fotografie di Vito Magnanini.

Sul catalogo, Cristina Abeni scrive:
I Racconti del Possibile
Le categorie del solito, dell’utile, dell’invisibile. A volte persino di ciò che è brutto, sgradevole, deturpante. Sono le categorie che normalmente assegniamo agli oggetti che – invece – Stefano Santi sceglie di dipingere. Viadotti che feriscono le valli, cabine elettriche che interrompono un paesaggio di pianura, una sedia, un lavabo in una stanza d’ospedale. Carciofi, non fiori. Barattoli, non vasi. E ancora sedie e latrine, muri e rottami.

E pochi dettagli, un gioco alla sottrazione, nel senso hemingwayiano del termine, una sottrazione dell’inessenziale.
Lo sguardo si è soffermato sui suoi quadri, attratto dalla pienezza dei colori, che sembrano protendersi al di fuori della tela, quasi a voler avvolgere anche chi osserva, attratto dalla loro intensità, dalle linee nette e decise che li separano e intanto li definiscono. Solo in un secondo momento lo spettatore si accorge di ciò che sta realmente osservando eppure ancora non è sicuro di ciò che vede. Si innesta un piccolo conflitto cognitivo che nasce dalla consapevolezza che i dipinti di Stefano Santi sono belli e raccontano storie, eppure ritraggono oggetti che non ci interessano, che non ci piacciono. Chi di noi si soffermerebbe ad osservare una cabina elettrica, una barchessa, forse abbandonata, un edificio di un quartiere popolare di periferia? Stefano Santi.
La bellezza, dove non te l’aspettavi.

Questo è ciò che lo sguardo inconsapevole e digiuno d’arte ha colto: una bellezza che ha origine non nell’oggetto in sé, ma nello sguardo che ci viene proposto, in un invito a fargli spazio per cogliere aspetti altrimenti ignorati, a pensare al possibile, a ciò che può essere e magari già c’è nello sguardo dell’altro.
E quando ormai ci sente sicuri di aver colto l’essenza di questi dipinti, una nuova sensazione giunge ad instillare nuovi dubbi, nuove percezioni. E’ il disagio che ci coglie di fronte alle stanze di un ospedale, della vista dal basso di un viadotto di cemento. Sono l’insicurezza, ma anche il desiderio del viaggio che una moderna autostrada porta con sé. Come possono un lavabo e una sedia trasmettere un senso di angoscia? O invece una sedia abbandonata e vuota presso un muro ci parli di una soddisfatta stanchezza?
Il reale e il possibile, ancora una volta. O il reale è il possibile?
Gli oggetti parlano, nei quadri di Stefano Santi, e ci raccontano di lui e di ciò che vede. I suoi dipinti sono racconti del possibile.



Elisabetta Pozzetti, docente universitaria, curatrice e storica dell’arte, scrive in occasione della mostra:
Silenti e soli.
Abbandonati sulla spianata desolata di un tavolo monocromo anch’esso disadorno.
Stanno lì, sospesi, barattoli bicchieri bottiglie, dimentichi di sé, trepidanti per un’attenzione sospirata e svanita, delusi per uno sguardo mancato, per una promessa tradita.
Piangono lacrime di colore che precipitano inermi verso il basso.
I volumi si stagliano nitidi, senza sbavature, in un assolo di forme chiaro e straziante.
Sono loro a chiamarci, in quella apparente banalità, con un quel vernacolo domestico che li rende invisibili nella loro ovvietà.

Eppure ci sono, e sono protagonisti nella vacuità dello spazio fluido che sembra dilatarsi all’infinito nell’assenza di qualsiasi appiglio che lo renda concreto. Galleggiano, se non fosse per quella perentoria linea orizzontale che divide alle loro spalle il piano dal muro.
Si sono messi in posa, sembra quasi all’ultimo minuto, sono fuori fila o decentrati, a volte pure tagliati dal limitare della tela.
Gregari della quotidianità di un pittore, con lui condividono ispirazione e malinconie. Sono defilati, schivi, come forse lo è chi li ha dipinti: riservato e sfuggente, di una timidezza che è scrigno di talenti e parole non dette.
Emergono come sagome, comparse lievi eppure così presenti. Lo dice l’ombra che gettano: densa, cupa, profonda quanto un burrone che inghiotte gli ultimi spasimi di vita.
Dipinti nella loro cruda essenzialità formale, sono volumi che non ammettono nessun indugio su particolari o marche di prodotto. Il loro è un anonimato piena di dignità e loquace di un pregio che non sta nell’apparenza ma nell’essenza vera delle cose (e delle persone).
Il pennello li definisce con una sicurezza spietata per linee veloci e ferme, pochi gesti e perentori, mentre un bordo riparatore argina le campiture isolando le une dalle altre.
Sfondo e primo piano sono egualmente trattati a stesura piatta e larga, quasi pacificata, mentre la spatola sovviene or ora a ravvivare la vibrazione e la densità del colore.
La tavolozza è ricca di toni caldi, di terre bruciate e ocre, di azzurri di speranza e bianchi lattei.
Dalla loro fisicità illusa ci arriva una sensazione di matericità, di peso reale, di “esserci e starci” nonostante tutto e tutti.
Quei due bicchieri che, come fanali nella notte, lanciano un riflesso morbido e oblungo invadendo metà della superficie, sono occhi di vetro aperti nell’intimo del loro creatore, due vani d’accesso a un mondo imperscrutabile.
Questo senso di precarietà nella composizione, in cui ogni cosa sembra precipitata casualmente, è in realtà in asse con un pensiero teso a scardinare l’ovvio, il prevedibile, il monotono.
La pendenza verso il baratro, il piede sollevato sul filo dello strapiombo sono lì a ricordarci che nulla mai è preordinato e che la bellezza del creato sta proprio in questa incapacità di governarlo appieno.

Che lo straordinario si cela sempre dietro un ordinario divenuto apparentemente sterile.
Che la bellezza dimessa di un barattolo vale forse un minuto del nostro sguardo, un minuto rubato al nulla che spesso ci circonda.
E allora sediamoci su quella sedia che sembra messa apposta lì, davanti a noi, affaticati dall’inseguire una vita che fugge quando invece la vera vita a volte sta solo nel saper stare.
Nel sapersi fermare. Come Stefano sa, così abilmente, ricordarci.


Sul Corriere della Sera, lo storico dell’arte Costanzo Gatta ha invece dedicato un articolo alla coppia di interni d’ospedale Stanza 40:

Opere di Stefano Santi
mostra e catalogo a cura di Elisabetta Pozzetti
testi di Cristina Abeni, Elisabetta Pozzetti, Ettore Santi, Stefano Santi
fotografie quadri di Vito Magnanini
fotografie evento di Aref Brescia
progetto grafico Gruppo Saldatori Srl
stampa La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio Srl
Per le opere riprodotte © 2019 Stefano Santi
Per i testi © 2019 Cristina Abeni, Elisabetta Pozzetti, Ettore SAnti, Stefano Santi
Per il reportage fotografico © 2019 Vito Magnanini
Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i paesi. ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.
Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le modalità di legge.
Prima edizione, maggio 2019
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NON SIA MAI L’OBSOLESCENZA DELLO SGUARDO @ Villa Solidea
September 2017

Nella superba location di Villa Solidea, progetto dello Studio di Architettura e Ingegneria Santi, Stefano Santi ha presentato il suo ultimo catalogo “Non sia mai l’obsolescenza dello sguardo,” a cura di Elisabetta Pozzetti. La mostra con vernice ha visto la presentazione delle opere da parte della curatrice e la partecipazione di moltissime persone.




La descrizione di Elisabetta Pozzetti nel catalogo recita:
Sono spazi disabitati quelli narrati da Stefano Santi, latitudini e stralci di periferie in cui permane memoria di un vissuto, come patina impallidita di un trascorso esistenziale. Che siano espressione di un’edilizia ingegneristica o di una modesta ma dignitosa architettura domestica sono assurti a volumi, alleggeriti della grevità umana, per farsi superfici connotate da netti profili, forti spigolature. Spatola e pennello sono stesi per campiture veloci definendo orizzonti padani tesi all’astrazione.

Il gesto che li delinea è sicuro, scaturito dalla piena assimilazione delle forme e dei contorni, dei pieni e dei vuoti. Stefano narra attraverso la pittura il suo quotidiano visivo, la consuetudine dello sguardo, che fa dell’obsolescenza dell’ovvio la mappatura dei luoghi amati, introiettati e restituiti su carta e tela, rinnovati e sottratti all’usura del già visto e rivisto. L’essere architetto ne rende consapevole e arguto il tratto, selettivo ed espressivo, e al contempo lo libera dall’ossessione descrittiva. Non indugia nel particolare, non si arresta nell’elemento accessorio: la composizione è sintesi assoluta, selezione di un setaccio visivo e di una interpretazione che impone l’essenziale al tanto, il poco al troppo. Il ricorso alla necessità sottrattiva deriva da un’azione, quasi compulsiva, di elaborazione per medium diversi: dall’occhio al diaframma fotografico, allo schizzo su carta fino alla definitiva trasposizione su tela. Tutti questi passaggi sono epurati di volta in volta, semplificati per peso e forma, per cromia e composizione.

Ciò che persiste è lo scheletro strutturale, esito felice di una periodica dinamica affettiva: Stefano vede, rivede, osserva, nota, guarda, assimila i paesaggi urbani (e non) della sua terra. L’antica corte piuttosto che il cantiere, la rimessa piuttosto che la cabina elettrica sono frammenti di fotogrammi, appunti visivi a margine delle giornate lavorative. Cosa rimane di tutta quella materia edilizia? Ingombri sottratti alla prospettiva e consolidati dalla giustapposizione di tinte piatte, contrastanti, a ritmare il tutto. La figurazione viene liberata dai vincoli per farsi astrazione. In “Roccolo” (p.13) le facce di una casa sono tavolozza divertita di aranci e sottotoni, che solo alla lontana si apparentano al realismo stretto. La tensione all’astrazione ora è evidenza materica ora è accennata come in “Cabina” (p.7) dove, pur imponendosi il parallelepipedo della struttura, terra e cielo divengono evidenza monocromatica. Sul crinale di questi due mondi sta “La corte” (in copertina), scissa tra la parte mancina che ancora si attarda nel racconto della quercia e della sua generosa ombra antistante la rincorsa degli archi alle spalle, e la parte di destra con una netta cesura geometrica che non lascia spiraglio alcuno, illudendoci che si tratti di un muro tagliato dalla luce calda zenitale.

In Santi l’urgenza al superamento del reale (a cui la professione quotidiana lo lega) lo si coglie anche dalle sempre più frequenti gocciolature che, come incursioni improvvise, si sovrascrivono al dettato formale, e così pure le sbavature, il sovrapporsi impreciso delle campiture che smarginano, in osmosi, l’una nell’altra. In questa, che potrebbe sembrare maldestra improvvisazione, si riconosce invece una accurata regia che vede nell’abbozzo emozionato la resa finale, nell’armonia cromatica il segno di un’eleganza innata. Come accade in “Sovrappasso” (p.4). Nelle sue opere, ci disvela il paesaggio frutto di un dettato interiore, fatto di sedimenti e di umori, di quella luminosità cupa e lattiginosa che è propria di una pianura, quella padana, parsimoniosa di meraviglie, che vanno scoperte e assaporate come un buon calice di lambrusco schietto in una dimentica osteria di paese. Santi ci consente di arrivare fino alla soglia come in “Via Boragine” (p.13) al numero 13, stiamo pure un po’ scomodi perché la facciata è di sguincio, non siamo invitati a trattenerci, dobbiamo proseguire, portandoci nel cuore il giallo ocra frammisto alla terra di Siena, interrotto nella parte inferiore dal grigio stropicciato della parete e dal bianco sporco della tubazione. Oltre la porta pesta di carboni e pece sta Stefano, la cui vibrante ispirazione trasuda appena, tra le venature di nero, in lapilli di rosso acceso.

Ecco il video della presentazione:
opere di Stefano Santi
sede: Villa Solidea by Calzificio Pinelli
catalogo a cura di Elisabetta Pozzetti
testi di Elisabetta Pozzetti e Stefano Santi
fotografie di Vito Magnanini
progetto grafico di Gruppo Saldatori Srl
stampa di La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio Srl
Per le opere riprodotte © 2017 Stefano Santi
Per i testi © 2017 Elisabetta Pozzetti, Stefano Santi
Per il reportage fotografico © 2017 Vito Magnanini
Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i paesi. ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.
Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le modalità di legge.
Prima edizione, settembre 2017
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I LUOGHI RITROVATI – LA POESIA DELL’ABBANDONO @Gazzoldo degli Ippoliti
September 2017

Presentazione di PAOLA ARTONI, storica dell’arte dell’Università degli Studi di Verona, e VITO MAGNANINI, fotografo
«Il mio lavoro è il frutto di un’osservazione ostinata dei territori in cui vivo, luoghi che conosco bene e che posso trasporre cogliendone l’anima. Studio il soggetto attraverso foto e decine di disegni preparatori… mi affascina l’effetto che produce la luce sui muri delle case, che esalta il pieno e il vuoto, il contrasto tra il vecchio e il nuovo…»
(STEFANO SANTI)
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BOUNDARIES @ SalaCaminada Manerbio
June 2016

In occasione di questa piccola personale, Massimo Rossi scriveva:
“Con Stefano Santi vi è una facile tentazione di realismo. Dopo pochi attimi, tuttavia, ci si accorge di quanto la questione sfugga al semplice sguardo per divenire, quindi, memoria, impressione, struggimento, interrogazione. Un viadotto non è più una banale infrastruttura e una corsia autostradale sgrana, veloce, in un metaforico orizzonte in fuga”.
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BOUNDARIES @ Torre Civica Marmirolo
April 2016

Mostra e presentazione catalogo all’interno della splendida torre civica del Comune di Marmirolo. Evento sponsorizzato dal Comune e organizzato dalla KOART Associazione culturale. In occasione dell’uscita del catalogo, Vittorio Bustaffa scriveva:
MATERIA E SUPERFICIE
di Vittorio Bustaffa
«Tutte le volte che si riflette sul bello, si è arrestati da un muro.»
S. Weil, Quaderni
Lo sguardo di Stefano Santi è caratterizzato dalla quotidianità: i soggetti e anche le scelte prospettiche dei suoi dipinti non sembrano essere quelli di un viaggiatore che segue delle traiettorie prestabilite, quanto piuttosto il punto di vista di un semplice passante, talvolta abitudinario che fa le stesse strade tutti i giorni, come il pendolare lo fa costretto per lavoro. Stefano sembra non avere altro interesse che per lo sguardo stesso e per ciò che incontra, sia in esso strade, oggetti, persone (assai rare) o edifici, si lascia catturare da particolari apparentemente privi di un valore estetico che determina delle scelte poetiche precise e da questo c’è da chiedersi il perché non usi il mezzo fotografico per esprimersi.

La pittura non contiene solo l’elemento formale, cioè l’elemento descrittivo o narrativo per eccellenza, il quale talvolta è anche veicolo di significati che vivono e si compiono solo nella forma. La pittura è caratterizzata anche dall’elemento materiale (elemento che la fotografia non possiede per sua natura o tenta di imitare dalla pittura) che è l’insieme delle scelte e del modo in cui il pittore esegue e compone il soggetto. Nell’elemento materico della pittura si coniugano al meglio osservazione, istinto, emozione ed intelletto.
Di fatto la modellazione della materia pittorica è una rappresentazione essa stessa di ciò che non solo possiamo vedere, ma possiamo anche sentire o percepire con altri sensi oltre alla vista. Forma e Materia nella pittura convergono insieme a stabilire la creazione di un’immagine come un evento di molteplici piani di letture e sensazioni, molteplici piani di visioni della realtà, ci parla di come l’uomo vive il soggetto scelto o la realtà in genere, soggetti contemplati in un contesto dove ogni cosa è possibile e ipotizzabile. Qualsiasi elemento della realtà, visibile o invisibile all’occhio, rappresentato pittoricamente, può diventare altro da se stesso, persino altro dalla parola stessa che lo designa. E’ l’impronunciabile, l’insondabile in senso positivo e in senso negativo, in definitiva tutto il mondo delle possibilità dell’esistenza sono gli autentici soggetti che la pittura vuole affrontare. E’ per questa ragione che, da sempre, l’arte della pittura apre al campo vitale dell’indagine sul linguaggio umano e sulle strutture intellettive che generano il rapporto tra Creazione ed Esistenza.
Stefano si muove in una materia densa, ma questa densità ripetuta e modellata, mai totalmente appiattita, fa vibrare le strutture compositive dei soggetti trasfigurandole in strutture sensibili. La presunta mancanza di poetica paradossalmente determina qui una poetica della Superficie.
In quest’ottica diventa evidente che ogni campitura di colore, che sia cielo, parete, tavolo, persino corteccia d’albero o vetro di bottiglia, ogni superficie trattata con il colore materico nelle sue opere, genera un rimando all’essenza e al significato della superficie stessa. Superficie quindi intesa come materia sensibile, luogo di confine nella quale la meta della ricerca è la ricerca stessa in cui si manifesta un’identità tra realtà osservata e realtà pensata.
Quella di Stefano Santi quindi è una ricerca pittorica silenziosa e profondamente intima che esige coraggio e onestà perché non ammette compromessi e non è priva di severità nei confronti di se stessi nell’accettazione dei propri limiti – non solo tecnici – e nei limiti della realtà che viviamo. Nella sua radicale esigenza di verità, questo percorso pittorico sonda le più profonde inquietudini, perché il pittore qui si accompagna inevitabilmente alla negazione di ogni evocazione illusoria: il soggetto interpretato sulla tela rimanda esclusivamente alle strutture che lo costituiscono.

Questa sorta di negazione delle dimensioni dell’immaginazione tuttavia non è assoluta e perentoria: nel persistere della figurazione e di un certo realismo, la materia di Santi non abbandona mai una contemplazione umile e partecipe di ciò che lo circonda, qualsiasi cosa incontri. Sembrerebbe che proprio nell’incontro con la materia densa delle cose esista per Stefano una via o un’aspirazione capace di superare la materia stessa, senza negarla, quanto piuttosto attraversandola. In queste visioni materiche, proprio nel momento in cui il sogno o le possibilità che non possiamo più intraprendere s’infrangono sulla parete di un edificio, emerge da quella stessa superficie un movimento, una vibrazione che a ben guardare, ci può regalare la promessa di uno stato di grazia capace di liberarci dalla densità che immobilizza lo spirito, ma trasfigura la densità stessa in intensità della presenza.
SUBSTANCE AND SURFACE
by Vittorio Bustaffa
«Every time we reflect on beauty, we come up against a wall.»
S. Weil, Notebooks
Stefano Santi’s gaze is characterised by everyday life: the subjects and the perspective choices of his paintings do not look like those of a traveller following predetermined paths, but rather the point of view of a passer-by, at times a creature of habit, one who takes the same street every day, as a commuter is obliged to do for work. It seems Stefano has no interests other than capturing what he meets whether it be along a road, objects, people (rarely) or buildings. He remains captivated by details which apparently lack any aesthetic value but which determine precise poetical choices, which makes us wonder why he does not express himself using photography.

Painting does not only contain a formal element, or rather the main descriptive or narrative element, which can sometimes be a vehicle to express meanings which live and are fulfilled only in form, but it is also characterised by the material element (an element that photography, due to its nature, does not possess or attempts to imitate from painting) which is the set of choices and the method in which the artist accomplishes and arranges the subject. In the material element of painting, observation, instinct, emotion and intellect are best combined.
In fact the modelling of the pictorial substance is itself a representation not only of what we can see, but also of what we can feel or perceive with senses other than sight. Form and substance in painting converge to create an image as an event of multiple layers of interpretations and feelings, multiple ways of seeing reality. This image shows us how mankind experiences the chosen subject or the reality in general, subjects considered in a context in which everything is possible and conceivable. Any element of reality, visible or invisible to the eye, if represented pictorially, can become something other than itself, even different from the word that defines it. It is indeed the unpronounceable, the unfathomable in both a positive and negative sense, ultimately the entire world of possibility is what painting strives to represent. It is for this specific reason that the art of painting has always opened up investigations into the human language and on the intellectual structures that have created the relationship between Creation and Existence.

Stefano moves in dense material, but this density is repeated and modelled, never totally flattened, making the compositional structures of the subjects vibrate and transforming them into sensitive structures. The presumed lack of poetics paradoxically determines the poetics of the Surface.
From this perspective it is clear that each field of colour, whether it be the sky, a wall, a table, even the bark of a tree or a glass bottle, each surface treated with highly tactile colour strokes, producing a cross reference between the essence and the meaning of the surface itself. Surface therefore signifies sensitive substance, it is the boundary line in which the purpose of research is research itself, in which an identity between realities observed thought are exhibited.
Stefano Santi’s pursuit is then a pictorial, silent, profoundly deep quest, which requires bravery and honesty because it does not allow compromises, and it is not without severity as regards oneself and the acceptance of one’s own limits –not only technical – and in the limits of reality where we live. In its own radical need for truth, this pictorial pathway probes the deepest fears, because the painter inevitably goes along with the refusal of any illusory evocation: the subject on canvas refers exclusively to the structures that it constitutes.
This kind of denial of the dimensions of imagination is not however absolute and peremptory. The realism depicted in Santi’s pieces never abandons humble and participating contemplation of what surrounds him, and whatever he encounters. It seems like in encountering the dense substance of things, there is a path or an aspiration that enables Stefano to overcome the matter itself, without denying it, but rather passing through it. In these highly tactile visions, dreams and possibilities that we can no longer experience, shatter against the wall of a building, from that same surface a movement emerges, a vibration that on closer inspection, can promise an ecstasy that can free us from a density which blocks the spirit, turning the density itself into intensity of the presence.
Durante la mostra Enz Percus ha suonato i suoi Hand Pan.
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STEFANO SANTI @ CorteCastiglioni
Settembre 2015.

In occasione di questa piccola personale, Leonardo Tonini scriveva:
” […] Qui l’oggetto dell’analisi è il territorio, inteso come luogo storico dove si vive. Luogo di una storia non individuale, ma di tutti, composto di molti strati come certi disegni su carta trasparente posti uno sull’altro. La pianura padana, il paesaggio agricolo che viene coperto dal paesaggio industriale, ma che, ai margini, nella periferia, traspare seppure urbanizzato. E’ il concetto di megalopoli, analizzato da urbanisti e sociologi fin dagli anni sessanta, che trova appunto nella marginalità del nostro territorio, il confine tra i due paesaggi umani. La città estesa è qui più visibile e ha un sapore, talvolta, di un luna park a luci spente, di giorno, quando gli effetti speciali non sono spenti.

Foto di William Dollace
Ma Santi non si piange addosso, non vuole ritrarre il degrado o il nudo meccanismo. Per lui, proprio in quanto pittore, l’oggetto è la realtà nel suo manifestarsi, senza ideologie. Il presupposto di partenza è che, alla fine, quello che abbiamo è il risultato di quello che abbiamo voluto, la somma dei nostri desideri. I centri commerciali non rappresentano lo scadimento di un tempo ideale di piccole bottegucce di paese dove tutti ci si conosceva, ma sono una risposta a uno stile di vita che non è più quello di allora. Chi studia storia lo sa bene: l’immagine nostalgica del passato non rappresenta quasi mai la realtà e serve solo a creare, artificialmente, un disagio che, alla fine, ci rende impotenti verso il presente. Rimpiangiamo il passato e ci lamentiamo del presente, e in questo modo lo cristallizziamo, sembra che il presente sia eterno e immutabile nella sua mestizia. Ma l’artista è condannato a essere assolutamente moderno e per farlo ha come unica via quella di sfuggire agli schemi ideologici, alle semplificazioni culturali. Non un’arte che riproduce il visibile (ché nella riproduzione si nasconde il nostro modo, personale, di leggere; il nostro io), ma un’arte che rende visibile, che si sforza di andare oltre il luogo comune. Che non dice, ma indica. Il mito da sfatare è che il paesaggio contemporaneo sia brutto, o deprimente. Santi, al contrario, trova al suo interno il bello, il potente, e questo anche grazie all’attenzione compositiva dell’oggetto quadro che gli viene, forse, dai suoi studi di architettura.

Foto di William Dollace
Insomma, che raffigurino un’autostrada, un viadotto preso da sotto, una casa gialla a fianco di una strada, un filare di gelsi, le sue opere non indugiano nella commiserazione, non denunciano un immaginario degrado, ma mostrano semplicemente il territorio come somma delle nostre storie individuali e come prodotto del nostro stile di vita. E lo scandalo, il perturbante, nei quadri di Stefano è che i suoi quadri sono belli. Un cesso di una casa di campagna abbandonata diventa una tela di drammatica forza emotiva, un oggetto quadro significante in sé. Il viadotto di cemento, l’autostrada, una lavanderia, non vogliono mostrare il deterioramento del territorio o rimpiangere la bellezza perduta, ma risultano esemplari nella loro immediatezza.”
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For the purpose of this personal exhibition, Leonardo Tonini wrote:
” […] Here the object of analysis is the territory, seen as a historic place where one lives. It is not the place of an individual story, but one which belongs to everyone, made up of several layers like drawings on transparent paper placed one on top of the other. The Po Valley, the agricultural landscape covered by an industrial landscape, but the urbanised outskirts shine. It is the concept of megalopolis, which has been analysed by Town Planners and Sociologists since the sixties, that finds the border between the two landscapes in the marginality of this territory. The extended city is much more noticeable here and seems almost like a funfair with the lights switched off, during the day, without the special effects.

Photo by William Dollace
However, Stefano Santi chooses not to picture the decay and the bare mechanism. According to him, as a painter, the object is reality in its own manifestation, with no ideologies. The premise, is that in the end, what we have is the result of what we wanted, the sum of our desires. Shopping Centres do not represent the decline of a golden age of small local shops where everyone knows each other, but rather they are an answer to a way of life no longer as it used to be. Those who study history can understand this: the nostalgic image of the past usually does not represent reality and serves only to artificially create an inconvenience, which makes us feel powerless towards the present. We regret the past and bemoan the present, thus crystallising the present itself. It then seems like the present is eternal and immutable in its melancholy.
Nevertheless, the artist is condemned to be modern and to do so he is forced to escape to ideological images and cultural simplifications. Not an art that reproduces what is visible (in reproduction our own personal way of reading; our Ego, is hidden), but rather an art which makes it visible, which strives to go beyond commonplace, which does not state, but suggests. The myth to dispel is that the contemporary landscape is ugly and depressing, Santi, on the other hand, finds beauty and power in it, thanks also to the compositional attention of the object picture that comes from his Architecture studies.

Photo by William Dollace
Depicting a motorway, a viaduct, a yellow house on a road or a row of sycamore trees, his work does not linger on pity, nor to degradation imagery, but he shows the territory as a sum of our individual stories and as a product of our lifestyle. What is scandalous and perturbing in Stefano’s paintings is that his pieces are beautiful. The bathroom of an abandoned house in the countryside becomes a dramatically powerful painting, meaningful in itself. A cement viaduct, a motorway, a launderette, are not meant to show the decaying territory or to mourn lost beauty, but they become exemplars in their immediacy.”
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M E G A L O P O L I @ Galeter
Stefano Santi e Leonardo Tonini. Febbraio 2015.

MEGALOPOLI – art poetry painting landscape architecture existential concept – è un’area molto vasta a dimensione regionale urbanizzata, dove diverse aree metropolitane si uniscono e si amalgamano in un continuo ambiente costruito di grande dimensione. Il nuovo insieme assume i caratteri di una diversa e più ampia struttura urbana legata ed interconnessa, non presuppone un continuum edificato, ma comprende al proprio interno anche aree agricole e foreste. La padania può essere vista come un’unica megalopoli nella quale i territori agricoli sono ormai delle aree interstiziali, incluse fra direttrici di densa urbanizzazione che attraversano la pianura. L’aspetto nuovo più clamoroso dell’urbanismo padano è perciò l’imporsi dello sprawl, la campagna urbanizzata. Ma la città diffusa, sebbene derivi dalla “voglia di città” degli uomini, finisce per essere la città indifferente, il non luogo, per cui i legami che contano oggi sono diversi da quelli con il centro urbano, il cuore storico delle antiche e straordinarie città padane: sono sempre più i luoghi destinati alla fruizione della modernità (i nuovi luoghi sono i supermercati, la discoteca, il capannone industriale, il casello dell’autostrada).

Stefano Santi e Leonardo Tonini, pittore il primo e poeta il secondo, cercano in questa Mostra un linguaggio nuovo per descrivere l’irrealtà di un non luogo che è diventato ed è l’orizzonte degli eventi di chi ci abita, l’ambiente privo di storia e di coscienza di milioni di individui impegnati ogni giorno a rendere reale l’esistenza propria e di ognuno, l’inaccettabile bellezza di ciò che senza saperlo sta sotto gli occhi di tutti.
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EZUFF NY – Elvis Zapp urban Film Festival @ New York
“Un film festival che unisce architettura sperimentale, film sperimentale e musica. Elvis Zapp Urban Film Festival progetto di proiezioni è un progetto in corso, indipendente, alternativo, non commerciale, internazionale, che esamina la giustapposizione – reale e fittizia – dell’archiettura con idee di cinema, musica e città”. Stefano Santi racconta il suo processo creativo della pittura con il corto Rapture of Sign – Potenza del segno.
“A film festival bridging experimental architecture, experimental film and experimental music. The Elvis Zapp Urban Film Festival Projection Project is an ongoing, independent, alternative, non–commercial, international film project examining the factual and fictive juxtapositions of architecture to ideas about cinema, music, and the city.” Stefano Santi tells his art practice through the clip Rapture of Sign.
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FORMA E MATERIA | Angelo Bussacchini e Stefano Santi @ Sala Bazzani
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DIA LOGOS – Painting and Architecture
Una mostra in cui pittura e architettura dialogano mostrando la loro reciproca influenza. “Dia logos”, dello studio di architettura Santi, sarà inaugurata domenica alle 17 all’interno dello spazio espositivo della Devincenti Multiliving di Piubega. La mostra sarà divisa in due sezioni contrapposte ma unite dagli stessi elementi: segno, struttura e materia. Tipici non solo degli architetti e, quindi, dei dipinti con soggetto architettonico ma anche di quelli raffiguranti nature morte, persone e paesaggi. Nella prima parte saranno presentate alcune opere realizzate dallo studio Santi negli ultimi cinque anni di attività. Alcuni dipinti realizzati da Stefano Santi, invece, sono i protagonisti della seconda parte della mostra. Inaugurazione alle 17 (ingresso libero): la mostra resterà aperta tutto dicembre. (e.p.)